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Società e compensi agli amministratori, è bene uniformarsi alle recenti sentenze

Il tema del compenso agli amministratori nelle società è da sempre oggetto di dibattito, sia in ambito fiscale che civilistico. Sul punto, due interessanti sentenze cui è bene fare riferimento al fine di evitare il rischio di contenziosi. Andiamo con ordine.

Compensi indeducibili senza il voto in assemblea. La Corte di cassazione con l’ordinanza n. 11779 depositata in data 8 giugno 2016 ha confermato il principio secondo cui sono indeducibili i compensi agli amministratori che non sono stati espressamente approvati dall’assemblea dei soci.

La vicenda nasce quando L’agenza delle Entrate notificava due avvisi di accertamento ad una società disconoscendo la deducibilità del compenso agli amministratori poiché mancava una specifica delibera assembleare. I provvedimenti venivano impugnati dinanzi al giudice tributario che per entrambi i gradi di merito, annullava la pretesa. L’Agenzia ricorreva così per Cassazione ribadendo che ai fini della deducibilità delle somme corrisposte agli amministratori occorreva una specifica delibera assembleare.

La Corte, accogliendo il ricorso dell’Ufficio, ha richiamato l’orientamento ormai consolidato che si è formato sul punto. Occorre, infatti, una delibera specifica ovvero che in sede di approvazione del bilancio siano esplicitamente discussi ed approvati.

Nell’ipotesi in cui la misura del compenso degli amministratori di società non è stabilità nell’atto costitutivo, è necessaria un’esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi già contenuta nell’approvazione del bilancio.

Sebbene, infatti, la delibera di approvazione possa riguardare anche la posta relativa ai compensi degli amministratori, non è idonea a tal fine, attesa la previsione di due diverse delibere richiesta dal codice civile (articolo 2364 n. 1 e 3).

L’unica eccezione, potrebbe riguardare l’assemblea totalitaria che, seppur convocata solo per l’approvazione del bilancio, potrebbe aver espressamente discusso ed approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori.

La necessità della preventiva delibera è funzionale alla certezza del costo con la conseguenza che in assenza, lo stesso è indeducibile. Nella specie, il giudice di appello non aveva verificato se la citata assemblea di approvazione del bilancio, sebbene fosse totalitaria, avesse espressamente discusso ed approvato i compensi dedotti nell’esercizio.

Sotto un profilo tributario la relazione che intercorre tra il vizio di invalidità della delibera e la deducibilità del costo è legata all’assenza dei requisiti di certezza e determinabilità. La norma tributaria, infatti, richiede che sia certa l’esistenza del costo e determinabile in modo obiettivo l’ammontare, con la conseguenza che, con specifico riguardo al compenso amministratore, occorre la conformità del titolo giuridico con il quale può essere corrisposto. Secondo l’orientamento della Cassazione (si veda la sentenza 21953/2015) quindi in assenza di delibera, manca il titolo affinché si possa pagare il compenso e pertanto le somme sono indeducibili.

Diritto a ricevere il compenso da parte dell’amministratore. Il Tribunale di Roma, sezione specializzata in materia d’impresa, in una sentenza dello scorso 4 maggio è giunto alla conclusione che l’amministratore di una società che svolge l’incarico senza chiedere il pagamento di quanto gli è dovuto perde il diritto a ricevere il compenso.

Con delibera del luglio 2013, l’assemblea dei soci di una srl aveva revocato l’amministratore unico dalle sue funzioni. L’uomo si è quindi rivolto al giudice, sostenendo di aver svolto l’incarico in modo diligente per 16 anni senza ricevere alcun corrispettivo; ha quindi domandato la condanna della società al versamento di 303mila euro per compensi, nonché di altri 18mila euro per risarcimento del danno dovuto alla revoca senza giusta causa né preavviso. Dal canto suo, la srl ha chiesto il rigetto della domanda, sostenendo che l’amministratore non aveva mai chiesto una retribuzione.

Il Tribunale ha respinto le istanze dell’attore. La sentenza afferma che dall’articolo 2389 del Codice civile si ricava che l’ordinamento riconosce agli amministratori delle società di capitali il diritto a un compenso per l’attività svolta in esecuzione del mandato ricevuto. Si tratta di un diritto soggettivo perfetto, «dovendosi presumere – aggiunge il Tribunale, richiamando la sentenza 16764/2005 della Cassazione – che l’attività professionale sia svolta a titolo oneroso». Peraltro, non esiste un compenso minimo e dunque «gli amministratori possono accettare di essere retribuiti in modo oggettivamente inadeguato al lavoro svolto», così come possono rinunciare al compenso in maniera «tacita, purché inequivoca».

Inoltre, se lo statuto nulla dispone, la determinazione dell’importo spetta all’assemblea dei soci. Se questa si rifiuta di deliberare, l’amministratore può ricorrere al giudice.

Nel caso in esame, lo statuto della srl prevedeva che i soci avrebbero potuto assegnare un compenso annuo agli amministratori. Tuttavia, l’assemblea non aveva previsto un corrispettivo né l’attore, negli anni in cui aveva ricoperto l’incarico, aveva chiesto una delibera per l’attribuzione di emolumenti. Si deve dunque ritenere – conclude il Tribunale – che l’amministratore «abbia manifestato un comportamento concludente, ponendo in essere, di fatto, una rinunzia tacita all’assegnazione di compensi per l’attività svolta» in favore della società.

Quanto alla domanda di risarcimento, il Tribunale ricorda che, in base all’articolo 2383 del Codice civile, gli amministratori delle società di capitali sono revocabili in qualunque tempo, ma hanno diritto al risarcimento dei danni se tale revoca è senza giusta causa. In questo caso, «per la liquidazione dei relativi danni – prosegue la motivazione, citando la sentenza 23557/2008 della Corte suprema – deve procedersi secondo i criteri generali di cui agli articoli 1223 e 2697 del Codice civile, trattandosi di vicenda non equiparabile alla risoluzione di un contratto di lavoro subordinato».

Secondo il Tribunale, «il danno patito dall’amministratore revocato senza giusta causa coincide con i compensi che lo stesso avrebbe percepito» se avesse mantenuto la funzione. Di conseguenza, nessun importo si può liquidare a titolo di risarcimento, giacché l’attore aveva «tacitamente accettato di svolgere il proprio incarico gratuitamente».

Già in fase di costituzione della società e nomina dell’organo amministrativo è opportuno regolamentare correttamente il rapporto con gli amministratori, per questo servono competenze legali e fiscali adeguate.  Rivolgiti ad Azzini Zagni | Avvocati e Commercialisti per evitare cattive sorprese, come disconoscimento dei costi da parte dell’Agenzia delle Entrate o richieste di risarcimento dell’organo amministrativo successive alla interruzione del rapporto.

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