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Società e fine mandato dell’amministratore. La disciplina del Tfm

Il Trattamento di fine mandato è un’indennità aggiuntiva che la società si impegna a corrispondere agli amministratori alla scadenza del mandato:

  • in modo proporzionale all’emolumento fisso annualmente percepito, ovvero;
  • parametrata in varia misura ai compensi complessivamente goduti in ciascun anno moltiplicati per gli anni di esercizio della carica.

Analizziamo nel dettaglio la disciplina del Tfm, tema di particolare interesse in quanto strumento di pianificazione fiscale a disposizione delle imprese che intendono accantonare una somma da liquidare ai propri amministratori al termine del mandato, sulla falsa riga di quanto avviene con il trattamento di fine rapporto a beneficio dei lavoratori dipendenti.

Quanto una società può accantonare annualmente a titolo di Tfm?

Una recente sentenza della Commissione tributaria provinciale di Lecco (sezione 2, numero 164 dell’11 luglio 2017) ha affrontato l’argomento. La deducibilità degli stanziamenti è stabilita dall’articolo 105 del Tuir, che consente la deducibilità delle quote maturate nell’esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che regolano il rapporto. Nel caso oggetto di pronuncia da parte della Ctp, gli accordi contrattuali con gli amministratori prevedevano un accantonamento nella misura del 20%, calcolato sul compenso dovuto annualmente. In prima battuta l’amministrazione finanziaria aveva rettificato la dichiarazione della società, ritenendo che la quota deducibile non potesse eccedere quanto previsto per i dipendenti dall’articolo 2120 del codice civile, cioè un tredicesimo e mezzo della retribuzione, pari al 7,41%, che lo stesso codice individua come quota massima spettante al dipendente che cessa il rapporto di lavoro.

La Commissione tributaria ha invece accolto le difese del contribuente, osservando che la remunerazione degli amministratori di società è disciplinata dall’articolo 2389, comma 1 del Codice civile, che ne prevede la fissazione all’atto della nomina o da parte dell’assemblea (anche in un momento successivo).

L’importo dell’indennità di fine mandato degli amministratori discende dalla libera contrattazione delle parti, che possono fissare sia la quota da corrispondere annualmente che quella che sarà versata al termine. Ed è proprio il riferimento alle pattuizioni contrattuali, contenuto nell’articolo 105 del Tuir, che viene posto a fondamento della sentenza, in cui si conclude che se il legislatore avesse voluto fissare un tetto alla quota del trattamento di fine mandato, l’avrebbe esplicitamente determinato, come ha invece fatto per il Tfr.

La tassazione del Trattamento di fine mandato. Sul piano fiscale, l’amministratore che riceve il Tfm ricorre alla tassazione separata solo se il diritto all’indennità risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto. La nozione di “anteriore” coincide con il momento dell’atto di nomina ex articolo 2389 del Codice civile, non essendo sensato immaginare un primo atto di data certa rivolto alla generalità di coloro che saranno nominati, seguito dalla loro individuazione.

Infatti, l’art. 17, D.P.R. 917/1986 prevede la tassazione separata per le indennità percepite per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (quindi quello dell’amministratore), se il diritto all’indennità risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto. Non è quindi possibile fruire della tassazione separata qualora non vi sia determinazione dello stesso con data certa anteriore al rapporto.

In capo alla società, l’Agenzia delle Entrate con la R.M. 22.5.2008, n. 211/E ha chiarito che la presenza della data certa anteriore al rapporto è necessaria anche per la deduzione della  quota Tfm per competenza, anche se tale previsione non è espressamente richiamata dall’art. 95, D.P.R. 917/1986.

La rinuncia alla corresponsione del Tfm.  Da ultimo, appare opportuno richiamare la risoluzione n. 124/E del 2017, appena  pubblicata, in caso di rinuncia alla corresponsione del Tfm per una società che in passato ha deliberato, con atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto, di attribuire agli amministratori (soci e non soci) un’indennità di fine mandato .

Per gli amministratori-soci, l’agenzia delle Entrate ritiene applicabile l’articolo 88, comma 4-bis, del Tuir secondo cui per la società non sono imponibili le rinunce a crediti dei soci nei limiti del costo fiscale dell’attivo rinunciato. La norma si applica solo laddove la rinuncia del socio (anche per crediti generati come amministratore) sia finalizzata al sostegno patrimoniale della partecipata. In presenza, invece, di atti di liberalità, la sopravvenienza attiva sarà imponibile.

Circa il valore fiscale del credito rinunciato, in presenza di socio persona fisica e in assenza di credito acquistato da terzi non è ravvisabile alcuna differenza tra valore fiscale e valore nominale del credito sicché la rinuncia non genera alcuna tassazione sulla società. Nemmeno dovrà essere neppure predisposta un’autocertificazione sul valore fiscale del credito richiesta dalla norma, come invece avviene in caso di rinuncia dei finanziamenti infruttiferi.

Secondo la risoluzione delle Entrate, a fronte della mancata tassazione della società, il socio dovrà dichiarare il reddito come se avesse incassato il Tfm rinunciato (con il conseguente obbligo di ritenute alla fonte).

Per le società, in caso di amministratori non soci – trattandosi del venir meno di oneri dedotti dal reddito di esercizi precedenti – la rinuncia al Tfm sarà ordinariamente imponibile. In capo agli amministratori non socio – invece – non vi è  nessuna tassazione in caso di rinunce, a motivo del fatto che per essi manca la possibile contropartita della rinuncia a incremento del valore della partecipazione.

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