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Professionisti e lavoratori autonomi: gli abiti si deducono?

Nell’esercizio di alcune attività professionali e di lavoro autonomo, specialmente quando ci si rapporta non solo con i propri clienti ma anche con uffici pubblici, è doveroso presentarsi con un abbigliamento consono.

Spesso il sostenimento di costi per l’acquisto degli abiti ed accessori assume importi rilevanti, per cui è opportuno chiarire, a vantaggio di professionisti, artisti e lavoratori autonomi, se sia possibile dedurre tali costi considerandoli inerenti allo svolgimento dell’attività.

Il principio di deducibilità di un costo per inerenza, ai fini Ires è sancito dal comma 5 dell’articolo 109 del Tuir che prevede che “le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”.

Il principio di inerenza, pur non ravvisabile nell’articolo 54 del Tuir, è estendibile anche ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo e sancisce la deducibilità di un costo solo quando tale costo è funzionale e strettamente collegato all’attività produttiva. Tale principio è sicuramente volto ad evitare che l’azienda (o il professionista) deduca costi prettamente attinenti alla sfera privata.

Sulla scorta del principio sopra enunciato, è pacifico che l’acquisto di un camice da parte di un medico o di una toga da parte di un avvocato costituisca un costo inerente alla propria attività e, per questo, deducibile.

Ma non è possibile giungere con tranquillità alla stessa conclusione nel caso dell’acquisto di un abito elegante da parte di un dottore commercialista.

Nella risoluzione 8 marzo 2002, n. 79/E, l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di affermare che “le spese afferenti l’attività professionale sono infatti quelle sostenute per lo svolgimento di attività o per l’acquisizione di beni da cui derivano compensi che concorrono alla formazione del reddito professionale. È necessario pertanto che sussista una connessione funzionale, anche indiretta, dei costi sostenuti rispetto alla produzione dei compensi che concorrono a formare il reddito di lavoro autonomo”

Mentre nella risoluzione 16 febbraio 2006, n. 30/E, l’Amministrazione finanziaria ha affermato che le spese devono essere correlate all’attività nel suo complesso indipendentemente dal valore aggiunto imputabile ad ogni singola prestazione svolta dal contribuente non dovendo rinvenirsi, per la loro deducibilità, una particolare relazione con i singoli compensi percepiti

Sul tema manca dunque una precisa presa di posizione da parte dell’Agenzia delle Entrate, da ciò ne deriva che optare per la deducibilità dei costi per l’acquisto di abbigliamento, allo stato attuale, espone ad un rischio di contestazione in caso di controllo fiscale.

Tuttavia, di diverso parere è la giurisprudenza che si è pronunciata nel merito.

Infatti, la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano n. 6443/40/16 del 22 luglio 2016, riguardante la nota showgirl Belen Rodriguez, ha sancito la deducibilità al 50% dal reddito di lavoro autonomo dei costi per l’abbigliamento utilizzato durante le prestazioni professionali.

La sentenza che ha toccato Belen riguarda proprio il caso in cui gli indumenti acquistati possono essere utilizzati non solo nella sfera dell’attività ma anche in quella privata: i giudici milanesi hanno ammesso la deducibilità al 50% degli abiti acquistati dalla showgirl e utilizzati per le trasmissioni televisive; infatti, nei contratti di ingaggio prodotti in giudizio da Belen Rodriguez, è espressamente previsto che l’artista debba usare “adeguato vestiario moderno di sua proprietà (abiti, vestiti, scarpe, accessori in genere, trucchi, ecc.)”. Secondo i giudici della Commissione tributaria provinciale di Milano i contratti di ingaggio sarebbero sufficienti a dimostrare l’inerenza e la deducibilità forfettaria del 50% dei costi per gli abiti indossati nello svolgimento dell’attività professionale della soubrette.

Nella stessa sentenza, i giudici milanesi hanno riconosciuto a Belen anche la deduzione al 50% delle spese per l’acquisto di mobili destinati all’arredo della casa utilizzata promiscuamente sia per l’attività professionale (per il realizzo di videoclip, foto e per il rilascio di interviste) sia per la vita privata. Più in generale, sulla base di quanto indicato nella sentenza, al fine di poter effettuare tale deduzione sarebbe necessario che il costo degli arredi non sia sproporzionato rispetti ai ricavi conseguiti.

Concludendo, dal momento che nessuno degli ordinamenti professionali prevede, in maniera diretta, il binomio abbigliamento consono/decoro della professione, per vincere le presunzioni dell’amministrazione finanziaria in caso di accertamento, laddove non vi sia diretta correlazione tra l’abbigliamento e l’attività (medico-camice, toga-avvocato), allo stato attuale si consiglia ai professionisti che svolgono l’attività in base ad un contratto di collaborazione di inserire una particolare “clausola contrattuale” che impone agli stessi di conformarsi ad un determinato dress code.

Per i professionisti e lavoratori autonomi che operano senza la possibilità di inserire tale clausola nei contratti, la deduzione dei costi al 50% per l’abbigliamento, soprattutto se trattasi di importi rilevanti e sproporzionati rispetto all’ammontare dei ricavi, va attuata con cautela in quanto può essere oggetto di contestazione da parte dell’amministrazione finanziaria in sede di accertamento.

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