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Food delivery e home restaurant: startup innovative e complicazioni burocratiche

L’innovazione tecnologica negli ultimi anni sta cambiando radicalmente il modo di vivere di tutti i giorni. Sicuramente il ruolo più importante è giocato dal continuo sviluppo degli smartphone e relative features. In particolare, la combinazione tra hardware e software porta a creazioni di app davvero rivoluzionarie sempre connesse, geolocalizzate e di un facile utilizzo, che danno vita a startup innovative.

Un settore che sta impiegando più di altri questi strumenti è quello alimentare, che spazia dal produttore di vini alla ristorante sotto casa. Proprio il segmento della ristorazione sembra voler sfruttare al meglio le potenzialità offerte dalle piattaforme tecnologiche, che in un mondo sempre più connesso considerano il vecchio passa parola per acquisire clienti uno strumento ormai obsoleto o troppo limitativo. In questo panorama, si sono sviluppate proposte di food delivery, servizio offerto in genere da una società promotrice, che stringe degli accordi con vari ristoranti, pubblicizzando i loro prodotti nell’app mobile. Il cliente finale può quindi selezionare il pasto che più gradisce dal proprio smartphone, può pagarlo e farselo recapitare a domicilio tutto a carico dalla società promotrice senza nessuna preoccupazione del ristoratore.

Questa nuova modalità di vendita ha messo in risalto un problema ai fini IVA: l’attività svolta dalla società promotrice è somministrazione di bevande e alimenti, quindi soggetta ad IVA al 10% o è puramente un servizio e quindi soggetta ad IVA 22%?

Domanda alquanto complessa e non di facile soluzione. Infatti, se la forma tradizionale di somministrazione di alimenti e bevande e la somministrazione con l’ausilio di innovazione sembrerebbero concetti sostanzialmente identici, non lo sono per l’Agenzia dell’Entrate, la quale ha ribadito che i pasti una volta preparati e pronti per essere consumati configurano una cessione di beni e non comprendono una prestazione di servizi. Pertanto, l’analisi alla quale giunge l’amministrazione finanziaria è che per tali vendite va applicata l’IVA di volta in volta in base ai componenti che costituiscono i pasti, verificando ed applicando quindi l’aliquota Iva di ogni piatto che compone il pasto. Ovviamente, tale processo di identificazione è materialmente di difficile applicazione e porterebbe i servizi di food delivery ad applicare aliquote Iva più elevate, con conseguente costo maggiorato per i clienti finali. Tra l’altro, la linea intrapresa dall’amministrazione finanziaria italiana è in netto contrasto con la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, la quale afferma che la somministrazione di alimenti e bevande presuppone si una cessione di pasti, ma che la stessa debba essere accompagnata da ulteriori servizi.

Altro fenomeno emergente ma di difficile inquadramento burocratico è quello dell’home restaurant, attività che consiste nel trasformare la propria casa in un ristorante (a pagamento) sia per i propri amici, sia anche per perfetti sconosciuti.  Tecnicamente, tale attività rientra nell’erogazione di servizi di ristorazione esercitato da persone fisiche all’interno della propria struttura abitativa. Attualmente non c’è una norma specifica che disciplini questo fenomeno che è in continua crescita, aiutato da app che permettono di organizzare la serata in ogni aspetto, dal menu all’ambientazione. Diverse proposte di legge sono state presentate ma ancora nessuna è stata portata avanti. Ad oggi, con l’attuale normativa, l’home restaurant deve sottostare a degli obblighi comuni di un pubblico esercizio.

Infatti per esercitare tale attività sono richiesti requisiti morali e professionali da parte dell’imprenditore (o di un suo delegato), ed è inoltre necessario presentare la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (Scia) al Comune per tramite del portale Suap, avere un piano di autocontrollo HACCP, oltre che impianti, locali e strutture a norma sotto il profilo igienico-sanitario. L’home restaurant è da considerarsi a tutti gli effetti, in base alla normativa vigente, un’attività d’impresa, soggetta quindi anche ai relativi incombenti fiscali e contributivi.

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