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Il contratto di rete in agricoltura spinge la crescita del comparto

Il contratto di rete è una forma contrattuale, introdotta nell’ordinamento giuridico dall’articolo 3, comma 4-ter del Dl n. 5 del 10 febbraio 2009, con il quale più imprenditori si impegnano a collaborare al fine di creare nuove sinergie ed accrescere la propria capacità innovativa e la loro competitività sui mercati interni ed internazionali.

La normativa prevede due tipologie di contratti: la rete contratto e la rete soggetto. La rete soggetto assume una autonoma natura soggettività passiva ai fini fiscali, mentre la rete contratto non modifica la soggettività tributaria dei contraenti i quali pertanto mantengono la totale autonomia.

Nel settore agricolo si predilige la rete contratto in quanto la rete soggetto è meglio appetibile rispetto ad altre forme giuridiche (ad es. le cooperative) più regolate normativamente e destinatarie di agevolazioni fiscali non previste per la rete soggetto.

Nella rete contratto l’assenza della soggettività giuridica comporta anche l’assenza di soggettività fiscale, pertanto gli atti posti in essere dalla rete producono i loro effetti in capo ai singoli partecipanti.

Il contratto di rete deve essere redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata oppure mediante atto firmato digitalmente da ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti. Il contratto può anche prevedere la costituzione di un fondo patrimoniale (facoltativo) e la nomina di un organo comune incaricato di gestire in nome e per conto l’esecuzione del contratto.

L’articolo 1-bis, comma 3 del Dl 91/2014 convertito nella legge n. 116/2014 ha introdotto una innovativa previsione per i contratti di rete in agricoltura allo scopo di favorire una stretta collaborazione tra imprese agricole al fine dello sfruttamento in comune di varie potenzialità.

Il contratto di rete nel settore agricolo consente di considerare la produzione ottenuta a titolo originario e quindi può essere divisa fra contraenti in natura con l’attribuzione a ciascuno della quota convenuta nel contratto. Ad esempio, se due agricoltori mettono in rete una superficie uguale di terreno e sul terreno di uno si coltiva frumento mentre sul terreno dell’altro si coltiva granoturco, alla fine della coltivazione ogni agricoltore possiede metà frumento e metà granoturco come produzione propria. Questo significa che la produzione ottenuta anche nel terreno di altri retisti, è come se fosse ottenuta nel proprio fondo con tutti i riflessi positivi previsti dalla normativa fiscale.

Il contratto di rete in ambito agricolo si realizza quando:

  • Viene formato da piccole e medie imprese come definite dal Regolamento CE n. 800/2008, cioè imprese di ogni forma giuridica individuale o collettiva (società di persone, società di capitali, consorzi, cooperative ecc.) che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro ovvero il cui totale di attivo di bilancio non supera i 43 milioni di euro.
  • Le imprese agricole mettono in comune i vari fattori della produzione (attrezzature, know how, risorse umane).
  • Vengono specificati gli obiettivi generali di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate tra gli stessi per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi, oltre agli gli obiettivi specifici che costituiscono il presupposto dell’individuazione delle attività necessarie per il conseguimento degli obiettivi generali.
  • Sono previsti i diritti e gli obblighi assunti dai vari contraenti e le modalità per raggiungere tali scopi. Fondamentale è indicare nel contratto le percentuali di ripartizione del prodotto. È altresì importante che fra i retisti vi sia pariteticità nei rapporti sia in termini di obiettivi che raggiungimento della produzione.
  • L’attività svolta dai singoli retisti, oltre che ad essere una attività agricola deve anche essere la medesima per tutti (esempio produzione cerealicola, lattiero/casearia, vitivinicola). Su questo punto, si intende che i retisti possano specializzarsi in una determinata tipologia di produzione. Ad esempio se le aziende agricole hanno un indirizzo cerealicolo si ritiene possibile che nel terreno di una impresa si produca frumento e nell’altro granoturco a condizione che la coltivazione sia condivisa ed entrambi i retisti effettuino delle lavorazioni in entrambi i settori.

In aggiunta a quanto elencato sopra, l’Agenzia delle Entrate ha recentemente fornito importanti precisazioni sul tema di reti in agricoltura (protocollo 954-84/2005 del 5 aprile 2017 ). In sostanza, è possibile considerare il prodotto ottenuto a titolo originario alle seguenti condizioni:

1) tutti i singoli retisti svolgano attività agricole di base e le eventuali attività connesse non siano prevalenti e solo complementari. Ad esempio non è configurabile la rete agricola nel caso in cui vi siano produttori di uve ed uno faccia esclusivamente la trasformazione in vino. Ciò sta a significare che tutti devono produrre insieme delle uve compreso il titolare della cantina ed eventualmente la produzione di vino per tutti i retisti potrebbe essere compensata dalle maggiori lavorazioni nei vigneti da parte dei produttori privi della cantina;

2) tutti i retisti devono mettere in comune una parte significativa dei terreni, ma non necessariamente tutti quelli posseduti;

3) tutti devono apportare in modo equivalente mezzi tecnici e risorse umane proporzionalmente al terreno messo in comune con il divieto di monetizzare le prestazioni o la rinuncia del prodotto;

4) la divisione dei prodotti avviene in modo proporzionale agli apporti di ciascun partecipante;

5) la produzione oggetto di divisione non viene successivamente ceduta tra i retisti.

Vediamo ora gli aspetti fiscali delle reti in agricoltura.

In ambito Iva si registrano due diversi scenari.

A) Ciascun retista fattura la sua parte al cliente finale. La parte di prodotto ritirato da ogni retista, essendo a titolo originario, non determina alcuna operazione rilevante ai fini Iva all’interno della rete e nemmeno le prestazioni incrociate che i retisti hanno svolto nei fondi agricoli generano prestazioni di servizi da assoggettare ad Iva. Se i produttori agricoli partecipanti alla rete sono in regime speciale Iva di cui all’articolo 34 del Dpr n. 633/72, possono quindi detrarre l’imposta mediante le percentuali di compensazione.

B) Nel caso in cui le imprese retiste diano mandato ad una capofila per vendere i prodotti a terzi avviene che il mandatario (capofila) agisce per conto del mandante, ma in nome proprio, con la conseguenza che i terzi non hanno alcun rapporto con il mandante (altri retisti); quindi l’impresa capofila vende i prodotti delle altre imprese aderenti al contratto e successivamente trasferisce alle stesse il ricavato della vendita di loro competenza. Se la capofila opera in regime speciale, la stessa potrà correttamente applicare le percentuali di compensazione solo ed esclusivamente in relazione ai propri prodotti; mentre per le cessioni relative ai prodotti dei mandanti (gli altri retisti) la capofila emetterà fattura e dovrà applicare il regime normale di determinazione dell’imposta, previa separazione delle attività ai fini Iva, ai sensi dell’articolo 36 del Dpr n. 633/72. Tale mandato, rileverà, in quanto prestazione di servizi, nei rapporti tra le imprese agricole, che in sede di ribaltamento fattureranno autonomamente in base al regime adottato. La fattura, chiaramente, dovrà contenere i riferimenti al mandato o al contratto di rete stipulato.

L’ambito delle imposte dirette.

La fattispecie del contratto di rete agricolo – per i soggetti che determinano il reddito agrario ex art. 32 del Tuir – è riconducibile nell’ambito dell’articolo 33, comma 2, del Tuir medesimo, laddove nel contratto di rete agricolo il terreno utilizzato per lo svolgimento dell’attività è il risultato della messa in comune di più terreni da parte dei soggetti partecipanti alla rete. Pertanto, il reddito agrario concorre a formare il reddito complessivo di ciascun associato per la quota di sua spettanza. Secondo l’Agenzia delle Entrate bisogna calcolare la sommatoria dei redditi agrari dei singoli terreni messi in comune e la successiva ripartizione tra i retisti in base alle rispettive quote di spettanza sul prodotto previste dal contratto di rete. Pertanto, in sede di dichiarazione dei redditi, ciascuna impresa retista dovrà dichiarare, per la quota di prodotto ad essa spettante, il reddito agrario di ciascuno dei terreni messi in comune.

In caso di impresa capofila e vendita ai clienti sulla base del mandato, la Direzione Regionale Entrate del Lazio già in passato aveva affermato che i costi e i proventi derivanti dalla commercializzazione dei prodotti agricoli effettuati dall’impresa capofila nell’interesse delle imprese aderenti al contratto di rete non concorrono a formare il reddito della predetta impresa. L’Agenzia  intervenne correttamente chiarendo che la quota di prodotti non propri della impresa mandataria e fatturati ai clienti non rilevano ai fini delle imposte dirette, dopo che una impresa agricola capofila aveva espresso la preoccupazione che i prodotti ceduti per conto delle imprese agricole aderenti alla rete si traducessero in un’attività commerciale al punto da compromettere la determinazione del reddito in base al reddito agrario (articolo 32 del Tuir).

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